
Il mio treno
di Giorgio Bongiorno (2009)
Sembra sia passato un secolo da quell’afoso giorno d’estate
Lasciavo la mia gente per la prima volta
Per quel viaggio oltre i monti
Carrozze lucide di malinconia
Tante valigie di cartone
Quelle di allora
Ammassate in scompartimenti pieni di speranza
Odori intensi di paesi lontani
Nelle orecchie il rumore della battigia
Il grido dei gabbiani
Sguardi tutti uguali
Amari silenzi che ancora non ho dimenticato
Potevo essere uno fra loro
Ascoltare le loro storie
Semplici e rudi
Con un groppo in gola
In compagnia di quell’ interminabile battere delle traversine
Monotono e triste
Non avrei mai pensato di incontrarli
Un mattino nebbioso
Sulla strada prima del ponte
Ad attendere lo stesso piccolo camion verde
Verso il cantiere del castello
In mezzo al bosco
Ritornare insieme poi nel buio della sera
Alla baracca sulla collina
Non c’era scritto sui miei libri
Della camerata chiassosa
Dei turni per la doccia
Di quel tempo di fatica
eppure ogni giorno
si ripeteva il rito delle ore pesanti
una dopo l’altra
nella baustelle senza sosta
la gioia della fine
il riposo della notte
non ricordo di avere mai sognato
solo ore di torpore fuori da questa vita
al mio ritorno guardavo quei volti
incredibilmente affranti
quasi senza corpo
in fila per il biglietto alla stazione
rivedevo quello stesso treno
quella lunga prigione d’acciaio
imbottita di angoscia
e provavo ancora sulle spalle il peso di quei mattoni
il freddo di quelle albe
e quei sacchi di cemento
macigni di nostalgia della mia terra
lamenti mesti di violino
che avrei sentito spesso
dopo
nella mia vita

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