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sabato 21 novembre 2009

Favelas










Una di quelle vite nascoste nell’inferno delle favelas

Una di quelle migliaia alla ricerca di un angolo di luce

Una di quelle formiche ingoiate da un mondo distratto

Uno di quei volti scolpiti sulla soglia di porte multicolori

Occhi grandi ed inquieti

Incollati a finestre tutte uguali

Magari quelli spalancati

Colmi di gioiosa angoscia

Di un bambino

Seminato dalla sorte di un amore improvviso

Rubato

Quasi animale

Abbandonato alla fame di ogni giorno

Senza la pietà di nessuno

In questo caleidoscopio di immagini

Sguardi fissi

Destini inventati per gioco

Vissuti giorno per giorno

Intrecciati da arcane forze primordiali

Sconosciute

Senza il conforto di un campanile

La discreta

Solenne

Solitudine di un cimitero

Senza neanche il sogno di un viale pieno di alberi verdi

Dicono che anche Dio

Grande e misericordioso

Abbia abbandonato questi piccoli vicoli

Maleolenti

Chiusi dalla vergogna

Eppure sembra che tutta questa gente stia pregando

Dietro muri spenti dal calore del tramonto

Pieni di invocazioni

In una solenne involontaria adunata

Anche le case allineate sulla collina

Strette l’una all’altra

Si inchinano a celebrare

Senza il rintocco di campane festanti

Nella miseria

Con il profumo lontano e pungente del mare

E le vele danzanti nel vento della baia

L’eterno

Immortale

Miracolo della fede

Novembre 1943










Siamo nati al fragore delle bombe

nei gelidi rifugi delle città

Madri eroiche fra le macerie

Padri vagabondi

In fuga per le campagne

Distrutti

Come le stazioni fatte a pezzi

Nella fitta nebbia di quel lontano Novembre

Non c’era stata neanche la vendemmia

Sotto i vigneti ancora carichi

Il fiume pareva dormire pigro

Nelle sue anse immobili

Arterie di limo insanguinate

Giovani arditi

Spossati dalla fatica

Piegati dagli orrori della guerra

Dall’atroce disumana tenzone della vendetta

Senza via di scampo

Sulla sabbia rovente d’Africa

O sui monti d’Appennino

Cadevano adagio

Come piante senz’acqua

Certi che anche l’inferno di quella corsa

Dovesse finire presto

Qualcuno avrebbe scritto nella storia

Questo inutile gioco di morte

Senza quegli occhi sbarrati

Dei compagni caduti sulle ginocchia

E quei lamenti difficili da dimenticare

Nell ’assurda cantilena della mitraglia

Siamo cresciuti con i mulinelli di polvere

Nel vento impietoso dell’autunno padano

Abbiamo costruito il resto della vita

Su quelle meste rovine

Stampate ancora nella mente bambina

Adesso qualche volta

Camminando fra le case colorate

Le stesse di allora

Ci assale ancora la paura di quei muri cadenti

Sentiamo quegli odori

Guardiamo intorno circospetti

Oltre il profilo mai dimenticato di quelle

Pareti

In piedi per miracolo

Di quei pilastri

Lasciati spogli

Dall’ultima granata