“Avis quando superna petit” - Hildebert de Lavardin
Aquila dei ghiacciai
Quell’esile scheletro di croce
Erto sulla cresta del monte
Forgiata dalle ali spiegate del vento
Richiama l’intrepido sospiro dell’uomo
Proteso ai confini del cielo
L’ultima solenne preghiera prima del burrone
Accompagna il cammino ardito della speranza
Il canto dell’estremo salto
Nel regno celeste dell’anima
L’audace grido dell’aquila oltre i cumuli bianchi
Grandi possenti ali argentate
Inondate dei raggi di questa tarda primavera
Gli occhi dell’uomo cercano pietosi
Fra macchie di rocce distanti
Il tenue e lontano silenzio delle vette
L’antico segno divino
Del dolore e della eterna salvezza
Danza la macchina volante intorno al picco mirabile
Sorgente pura del grande fiume
Intreccia volute leggere
Disegnate come ombra sulle nevi perenni
Dirige la prua verso la parete scura
Vira e discende
S’innalza altero fra nuvole ovattate
Il pilota sussurra la vecchia parabola
Del nido nel dirupo
Dei vecchi artigli possenti e lunghi
Del becco
Spezzato contro la roccia
Delle nuove penne pronte per la caccia
Ciuffi di erba grigia fra i boschi incantati
Falconieri pronti alla carica
Cavalli scolpiti nella steppa
Il ghiacciaio attende paziente fra le cime
La macchina si posa
Sussulta e scivola piano verso il monte
Il disegno di una traccia si insinua nella solitudine della coltre nevosa
E dopo la pausa nel mare dei cristalli lucenti
Di nuovo riparte
Con l’emozione del distacco
Lascia alle spalle le pieghe dei crepacci
E si libra nell’aria limpida
Per il volo libero del ritorno