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domenica 31 maggio 2009


Avis quando superna petit”  -  Hildebert de Lavardin

Aquila dei ghiacciai      

Quell’esile  scheletro di croce

Erto   sulla cresta  del monte

Forgiata  dalle ali spiegate del vento 

Richiama  l’intrepido  sospiro dell’uomo

Proteso ai confini del cielo

L’ultima solenne preghiera prima del burrone

Accompagna  il cammino ardito della speranza

Il canto dell’estremo  salto  

Nel regno celeste dell’anima  

L’audace grido  dell’aquila oltre i cumuli bianchi  

Grandi possenti  ali argentate  

Inondate dei raggi  di questa tarda primavera

Gli occhi dell’uomo cercano  pietosi

Fra  macchie di rocce distanti

Il tenue  e lontano silenzio delle vette

L’antico segno  divino

Del dolore e della eterna salvezza

Danza la macchina volante intorno al picco mirabile

Sorgente pura del grande fiume

Intreccia volute leggere

Disegnate come ombra sulle nevi perenni

Dirige la prua verso la parete scura

Vira e discende

S’innalza altero fra nuvole ovattate

Il pilota  sussurra  la  vecchia parabola

Del nido nel dirupo

Dei vecchi  artigli possenti e lunghi

Del becco

Spezzato contro la roccia 

Delle nuove penne pronte per la caccia

Ciuffi di erba grigia fra i boschi incantati

Falconieri pronti alla carica

Cavalli scolpiti nella steppa

Il ghiacciaio attende paziente fra le cime

La macchina si posa

Sussulta e scivola piano verso il monte

Il disegno di una traccia  si insinua nella solitudine della coltre nevosa

E dopo la pausa nel mare dei cristalli lucenti

Di nuovo riparte

Con l’emozione del distacco

Lascia alle spalle le pieghe dei crepacci

E si libra nell’aria limpida

Per il volo libero del ritorno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

domenica 10 maggio 2009


Albatros                                  


È  la  danza d’amore dell’albatro

Che richiama planando l’indelebile  segno  

Dell’antica superba chimera dell’uomo

Di aggrapparsi alle salde ali del vento

Sgravato dagli orpelli della carne

Volteggiando

Con la spregiudicata presenza del pensiero

Il  sale dello spirito

E il freno atavico della ragione

Si vedono sciami di uccelli chiassosi

Staccarsi  dagli scogli remoti di oceani lontani

Librarsi Ingenui e impauriti

Esitanti

Ultimi baluardi di questa tersa immagine

Di libertà  che scompare

A poco a poco nei vapori dell’orizzonte

Non ci sono ostacoli nel cielo e nella cornice argentata del mare

Sulla  schiuma del ventaglio di onde verso la riva

Nella struggente infuocata geometria del tramonto

C’è un grido distante soffocato da mille altre voci

Eppure arriva fino alle nostre orecchie

Oltre il velo discreto di questa nebbia mattutina

Quasi come la rugiada  dei prati

Quante volte abbiamo spiccato quel volo assassino

Quante volte siamo caduti  affamati

E ci siamo rialzati soli

In quel cammino arduo ed impervio

Senza mai giungere alla meta

Che pure  pareva tanto vicina

Quante volte abbiamo sognato di andare ancora più in alto

Oltre gli angusti confini delle nuvole

E siamo di nuovo caduti

In quella radura densa di trappole  d’inferno

Quante volte anche noi ci siamo staccati da terra per vagabondare  fra i monti

Accompagnati da una sinfonia di luci accecanti

Dai gorgheggi di un’arpa celeste

Quasi fossero angeli a far vibrare quelle corde

E siamo di nuovo caduti

Relitti abbandonati dall’anima

Qualcuno ha  ucciso la nostra speranza

Senza pietà

Senza rispetto

Ci ha perseguitato senza tregua

Ha fiaccato il coraggio sul  sentiero  della vetta

Eppure spesso ci siamo addormentati nel sogno avvincente

Di  piume leggiere

Lasciate   a spiegarsi nell’aria limpida

Senza mai trovare un approdo

E siamo rimasti ore in balia della brezza

Ad attendere pazienti il chiarore dell’alba

Liberi di schiamazzare intorno

Di fendere gli austeri silenzi della baia

Fino al tiepido incedere  dei primi raggi di sole

Alle scintillanti  perle di luce della bonaccia

Quante volte abbiamo  lasciato

La sponda inerte del grande fiume

E ci siamo fatti trascinare

Dalla corrente  

Come tronchi spezzati 

Dall’uragano

Fino allo specchio di pace  

Della  laguna

lunedì 4 maggio 2009


Innocenti                                 

Io ti ho già conosciuto

Nei labirinti della storia

Sentivo lontane le note di un’arpa

Accarezzare  le corde dell’ anima

Con le mani di un angelo

Ho camminato verso di te  

Ci siamo incontrati  nel deserto di un mondo diverso

In questo viaggio del mistero

Lo diceva la suadente sinfonia di quel canto

Nelle dune  disegnate dal vento  dei sentimenti

Senza la passione dell’abbraccio

Sulla riva di un grande fiume

Vicino al profumo  intenso della baia  

Senza l’ansiosa angoscia dell’attesa

e l’illusione eterna dell’amore

E poi quella voce  tenue

Quel sospiro sussurrato che sento ancora

Come una spada

Dentro le  fibre della mia carne

Pareva sempre la tua

una  fiaba di altri pianeti

Un gorgheggio inumano di dolce letizia

Oltre le stragi della nostra terra

I cataclismi  e le tempeste dei millenni

E  nuvole di colori  sgargianti

Ho portato  anche con me

Per le strade solitarie del sogno

Un frammento  di poesia

I tuoi occhi chini

Il  volto sfumato

E quella lieve carezza

Sulla corona dorata dei tuoi riccioli